La funzione dell’intertesto cinematografico nel racconto „Salsicce“ di Igiaba Scego

di Lukas Budde e Carmen Hofer

1. Introduzione
2. La struttura del racconto
3. L’interazione del testo letterario con il testo cinematografico
3.1. Il grottesco come strumento di narrazione
3.2. Il rapporto tra colonizzatore e colonizzato in Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa? e Salsicce
3.3. La ricerca dell’identità
4. Conclusione
5. Bibliografia
5.1. Websites

 1. Introduzione

Il racconto Salsicce di Igiaba Scego, vincitore nel 2003 del premio Eks&Tra nella categoria di letteratura di migrazione, narra la storia di un personaggio diviso tra due mondi e due culture alla ricerca della propria identità. Si tratta di una donna che, come l’autrice stessa del racconto,1 è nata a Roma, ha un passaporto italiano ed è di origine somala. Un giorno si compra delle salsicce perché vuole diventare un’italiana al 100% in modo da risolvere definitivamente la questione sulla propria identità. Questo assunto paradossale conferisce un tono umoristico al racconto e quindi al dilemma del personaggio che narra la propria storia in prima persona.

Il testo è raccolto nel volume Pecore nere, curato da Flavia Capitani e Emanuele Coen, insieme ad altri racconti di Gabriella Kuruvilla, Laila Wadia e Ingy Mubiayi, tutte scrittrici che come la Scego non vivono solo nella cultura italiana, perché sono di origine straniera. Loro hanno avuto la possibilità di conoscere al meglio due culture, la cultura italiana da un lato e la cultura dei loro genitori dall’altro. Ciò significa che possono giudicare l’Italia tanto dall’interno quanto dall’esterno e che sono quindi nella possibilità di dare una rappresentazione più complessa delle condizioni in Italia (cf. Sinopoli 2015: 56).

Il titolo dell’antologia è scelto con cura e contiene al contempo una dimensione ironica e un’altra provocatoria. In primo luogo si riferisce al colore della pelle delle autrici dei testi raccolti. Ognuna di loro ha la pelle nera e vive in una società di persone bianche. Quindi si il gioco di parole del titolo sottintende che si distinguono le pecore nere dalle pecore bianche (cioè quelle normali) come si distingue tra uomini bianchi e neri. Inoltre il titolo sottintende anche che le giovani scrittrici si sentono come delle pecore nere in Italia, perché il loro background mkgratpria le rende delle italiane “diverse dalla norma”. Le pecore nere però fanno parte della società anche se non sono così coinvolte e spesso escluse. Clarissa Clò riflette la complessità del titolo così:

pecore nere […] reveals up front the racial background of the authors and capitalizes, perhaps too fetishistically, on the difference. Yet ‚black sheep‘ also suggests that while the authors are of a different skin color, they are, nonetheless, already members of the family, and by extension the nation, and contribute to Italy´s culture in ways that complicate common sense understandings of it. (cf. Ciò 2012: 278)

Con la scelta del titolo hanno implicitamente nominato il problema del razzismo e il problema di etichettare le persone. Usano una metafora per indicare la trasformazione di una persona di colore che vive in una società a maggiornaza bianca in una pecora nera che vive in un gregge di pecore bianche. Inoltre implicano che si sentono come persone non volute anche se fanno parte della vita.

Non sorprende quindi che in tutti i testi della raccolta, come anche in Salsicce, il problema dell’identità sia quello di gran lunga predominante. Scopo della nostra analisi, tuttavia, non è tanto quello di sviscerare la tematica dell’identità, quanto piuttosto di capire il modo in cui il testo costruisce il proprio significato. Vedremo dunque come un ruolo centrale vada in questo senso attribuito al dialogo che il racconto della Scego intrattiene con un intertesto cinematografico, ossia il film Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa? di Ettore Scola.

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2. La struttura del racconto

Prima di analizzare la struttura del racconto, vale la pena ripercorrere brevemente la trama: il racconto comincia con la volontà della narratrice di comprare delle salsicce per cambiare e definire la sua identità. Queste hanno un doppio senso riguardo la loro capacità di cambiare la narratrice, poiché contengono il maiale, proibito per i musulmani. Il che significa che la narratrice rinuncerebbe alla sua religione d’origine mangiando le salsicce. Rinunciando così alla cultura musulmana, la cultura europea – e italiana – invece si rafforza visto che il maiale è molto comune in Europa e la salsiccia è un piatto tipico in Italia. Dopo averle comprate si siede in cucina e riflette sulla possibilità di mangiare davvero i wurstel appena comprati. Si la ricorda le domande della sua infanzia. „Ami più la mamma o il papa?“ Anche se per rispondere non c’è un modo corretto, ci sono due opzioni. Dire un nome, ferendo così uno dei due genitori, oppure dire ciò che loro vorrebbero sentirsi dire. A questo punto si ricorda un colloquio fatto in passato, per cui aspetta da tempo la risposta. Ancora indecisa sul mangiare o no le salsicce, prova a distrarsi con altre attività, anche perché solo pensando di mangiarle sente il bisogno di vomitare, com’è già successo. Inizia a leggere il giornale ma vede un’articolo sulla violenza sulle persone di colore. Così, leggendo il giornale, riflette sulla polemica sull’essere una straniera di colore. Finito di sfogliare il giornale, accende la tv e, facendo zapping, vede casualmente una scena del film Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?. Il film lo conosce e la fa pensare di nuovo alla sua identità. Si trova nella stessa situazione descritta in tv. È indecisa sulla vita che vuole condurre: quella somala oppure quella italiana? Questo è il momento in cui lei capisce che non c’entrano i pensieri degli altri ma soltanto i suoi. Non importa se la sua vita sia somala o italiana, importa che lei viva come meglio crede. Interrompe la riflessione una chiamata di una sua amica che le dice che il colloquio è andato in modo positivo e che l’ha superato. Felice dell’andamento della sua vita, inizia a ripulire la cucina in cui prima ha vomitato, senza infine mangiare le salsicce.

Il racconto è molto complesso dal punto di vista del tema – su cui verrà parlato dopo – e mostra il monologo interiore della narratrice. Un’altra complessità del racconto consiste nel tempo della narrazione avendo tanti analessi anche perché la durata della storia è più lunga della lunghezza del racconto. Queste anacronie sono sempre oggettive e esterne. Cioè la narratrice assume la narrazione e si situano interamente al di fuori del „recita premier“. La sua crisi d’identità comincia con l’introduzione della legge BossiFini, che risale ad un periodo prima di comprare le salsicce ed è raccontata dal punto di vista della narratrice. Infatti, il modo di raccontare in Salsicce assomiglia molto al nostro modo di pensare ed ha la forma diegetica del discorso immediato. A causa di questo possiamo dire che la focalizzazione del narratore è interna, cioè il narratore ne sa quanto il personaggio. La focalizzazione interna si sovrappone anche con la diegesi del racconto, in cui il narratore parla a proprio nome, anche se non è chiaro se Igiaba Scego sia la persona con la crisi d’identità. La storia comincia con: „Oggi, mercoledì 14 agosto, ore 9 e 30, mi è accaduto un fatto strambo.“ (Scego 2009: 23) che trasporta il lettore direttamente nella mente della narratrice. Quel fatto strambo – come dice la narratrice – è proprio il suo essere „[…] una musulmana sunnita” (Scego 2009: 24) a cui è proibito mangiare la carne di maiale ma che, nonostante cio, vuole comunque farlo. Ma la sua volontà di mangiarle diminuisce quando si trova in cucina, perché non sa neanche come si preparano i wurstel tipici italiani. Fissando le salsicce, lei si chiede se dopo averli mangiati la gente capirà che lei è italiana come loro. (cf. Scego 2009: 26) Così i lettori vengono introdotti nella sua crisi d’identità perche si trova in bilico tra due culture e non sa a quale attenersi.
In realtà la sua crisi risale ad un evento precedente alla narrazione, ossia all’introduzione della nuova legge Bossi-Fini: “La mia ansia è cominciata con l’annuncio della legge Bossi-Fini: A tutti gli extracomunitari che vorranno rinnovare il soggiorno saranno prese preventivamente le impronte digitali.” (Scego 2009: 26) Fino a quel momento la narratrice aveva vissuto una vita “normale” per una come lei, ossia una vita caratterizzata dai pregiudizi razziali risontrabili in determinati settori della società italiana. Con la nuova legge però il razzismo è entrato nell’ambito della politica, nel senso che tutti gli extracomunitari sono visti come potenziali criminali a cui prendere preventivamente le impronte digitali. La politica da questo momento in poi distingue insomma tra immigranti e italiani. La narratrice però ha il passaporto italiano il che fa sorgere alcuni interrogativi relativi alla propria identità:
Ed io che ruolo avevo? Sarei stata un’extracomunitaria, quindi una potenziale criminale, a cui lo stato avrebbe preso le impronte per prevenire un delitto che si supponeva prima o poi avrei commesso? O un’italiana riverita e coccolata a cui lo stato lasciava il beneficio del dubbio, anche se risultava essere una pluripregiudicata recidiva? (Scego 2009: 26)
La narratrice non sa decidersi tra l’essere una potenziale criminale oppure un’italiana; in più non sa come le altre persone la vedono. Come viene definita una ragazza come lei? Come una migrante oppure come un’italiana? Trovare una risposta a queste domande non è possibile per lei. Se viene definita come una migrante non è giusto, perché ha il passaporto italiano. Invece, se viene etichettata come un’italiana non è neanche giusto, perché alcune persone pensano sicuramente che sia una migrante a causa del suo colore della pelle. (cf. Hanna 2004: 68s) La narratrice si sente disperata, come si evince dai suoi pensieri: “Quelle maledette impronte avevano svegliato in me un demone che si era assopito da tempo immemorabile. Avevo sperato che quel demone non si svegliasse mai. Ma poi sono arrivate loro: le impronte, quelle vedete, fottutissime impronte.“ (Scego 2009: 26) Il demone di cui parla è proprio una metafora dell’insicurezza sulla sua identità. La narratrice non è cresciuta come una regolare italiana ma è cresciuta con i genitori somali, che allevano i bambini secondo i valori della loro patria. Il modo in cui è cresciuta la rende diversa. Ha un ruolo un po’ fuori dalla “normalità” italiana e questo causa la sua insicurezza riguardo alla sua identità. Con la legge Bossi-Fini questa sua insicurezza emerge e la narratrice deve ripensare il suo ruolo nella società italiana. Pensava di essere inclusa in tutti gli aspetti della societa italiana, però con la nuova legge si sente nominata come potenziale criminale. (cf. Manson 2004: 78s)
Poi dopo, vedendo la scena del film (Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa?) cambia definitivamente la volontà della narratrice di mangiare le salsicce. Cambia tutto il suo atteggiamento sulla questione di essere un 100% – sia italiana sia somala. Sparisce l’insicurezza su sé stessa. La scena causa proprio una svolta nel racconto. Perché dopo averlo visto lei pensa: “Ma come ho potuto solo pensare di mangiarle? Perché voglio negare me stessa […]. […] Sarei più italiana con una salsiccia nello stomaco? E sarei meno somala? O tutto il contrario? No, sarei la stessa, lo stesso mix.” (Scego 2009: 35) Il suo punto di vista sembra cambiato e la narratrice pare aver trovato un modo di accettare la sua identità ibrida.
Il racconto finisce poi con il telefono che squilla e l’amica Valentina che le dice che ha superato il concorso di lavoro. (cf. Scego 2009: 35) L’ultima frase dalla narratrice è: “Mi rimbocco le maniche, devo pulire la cucina dal vomito.” (Scego 20094: 36) Da questa frase si capisce che il vomito è una metafora per il disordine della sua identità, mentre il pulire può essere visto come una metafora per mettere in ordine i suoi pensieri e superare la crisi. (cf. Hanna 2004: 74)
Con Salsicce Scego critica la legge Bossi-Fini con un tono ironico, fatto che si può capire già dalla prima frase del racconto come anche Manson menziona: “The irony that runs throughout Scego’s story is established from its outset: by quoting the precise time, she is implicitly criticizing the Bossi-Fini law’s preoccupation with dates and concrete facts.” (Manson 2004: 78) L’ironia continua con diversi pensieri dalla narratrice come: ”Quella domanda odiosa sulla mia identità del cazzo! Più somala? Più italiana? Forse 3/4 somala e 1/4 italiana? O forse è vero tutto il contrario?” (Scego 2009: 28) La Bossi-Fini vuole avere risposte concrete, vuole avere dati e fatti, vuole le impronte. Anche quando fa una lista dei momenti in cui si sente somala e quelli in cui si sente italiana, possiamo percepire l’ironia: “Mi sento somala quando: 1) bevo il tè con il cardamomo […] Mi sento italiana quando: 1) faccio collazione dolce […].” (Scego 2009: 29s) Infatti, quella lista può essere paragonata ad un atto della polizia. Abbiamo uno tono impersonale che critica in un modo ironico la legge Bossi-Fini e include fatti e numeri. (cf. Manson 2004: 80) Scego usa l’ironia per descrivere un problema in Italia che ancora oggi non è risolto. La Bossi-Fini è una legge che va oltre la presunzione d’innocenza, che è un pilastro di fondazione della democrazia. Senza aver fatto qualcosa illegale i migranti saranno preventivamente giudicati come potenziali colpevoli e Scego usa il suo racconto per disingannare l’Italia e la politica del paese.

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 3. L’interazione del testo letterario con il testo cinematografico

3.1. Il grottesco come strumento di narrazione

L’intertesto cinematografico riveste un ruolo fondamentale nella concezione stessa del racconto, la cui chiave umoristica è chiaramente riconducibile alla tradizione della cosiddetta commedia all’italiana, di cui il film di Scola rappresenta uno dei massimi esempi. Ettore Scola, che è uno dei registi più noti di questo genere molto specifico di commedia, ha spesso affermato come i suoi film partano dall’osservazione della realtà e dalla voglia di raccontare l’Italia (cf. Luijnenburg 2014: 43) e mostrare i problemi del paese in maniera umoristica, una cosa tipica per la commedia all’italiana. Scola prende l’umorismo come strumento per criticare il suo paese e la gente italiana. Lui prende degli elementi drammatici e li mostra con ironia, comica e tanto umorismo. Anche Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa? è una commedia all’italiana che mostra l’italiano medio in un modo grottescamente stereotipato e soprattutto nel suo rapporto con “l’altro”, “l’estraneo”, il “non-italiano”, che nel caso del film viene incarnato dalla popolazione africana rievocando implicitamente quindi anche il passato coloniale dell’Italia. Infatti, il film narra la storia di Fausto che va in Africa per cercare il suo amico Titì che è scomparso. Fausto va alla ricerca del suo amico e viene confrontato con una situazione nuova per lui, cioè essere uno straniero in un paese sconosciuto. Alla fine riesce a trovare Titì che sembra di trovarsi bene tra gli Africani, ma decide di andare con Fausto. Così prendono la nave insieme e partono per l’Italia. Titì però vedendo gli Africani che lo salutano e che deve lasciare indietro, scappa dalla nave e si butta nel mare per ritornare dalla tribù primitiva. Fausto invece viene lasciato indietro e ritorna in Italia senza il suo amico.

Titì e Fausto sono due caratteri che sono presentati in modo comico, ma anche tragico come si vede per esempio nell’ultima scena del film dove vediamo Titì che ritorna dagli Africani. Lui non vuole ritornare dai suoi perché adesso si sente a casa in Africa, dove si fa altro invece di partecipare a giochi di società, come vediamo per esempio nella scena iniziale del film. Già dalla scena iniziale possiamo vedere che Titì non si sente appartenete alla “sua” società. In Africa invece sa che le persone hanno proprio bisogno di lui e che la sua presenza è importante, il che in un certo modo gli fa vedere di nuovo il senso della vita. Fausto invece non sembra di poter aspettare più per ritornare in Italia. Lui non si trova per niente bene in Africa e non si può identificare con gli Africani e il loro stile di vita. Forse è per questo che Scola ci fa vedere un Fausto molto disperato e schioccato dal fatto che il suo amico non vuole ritornare in Italia. E durante tutto ciò troviamo sempre una certa ironia e comica che viene dalla rappresentazione dagli attori, dalla musica sottostante e la messa in scena in generale. Abbiamo proprio una realtà tragica che viene imballata in comica che rende il film grottesco.

Un elemento simile grottesco lo troviamo anche in Salsicce. Se prendiamo per esempio il titolo si può notare che si tratta proprio del primo elemento grottesco del racconto. Il titolo in sé stesso, infatti, non ha nulla a che fare con quella lotta interiore che la narratrice soffre. Le salsicce descrivono un cibo italiano ma non ci dicono nulla sulla vera storia tragica il cui titolo stanno formando. Il titolo e le salsicce nel racconto costituiscono un elemento comico e la crisi della narratrice racconta la realtà dura ma frequente di un’extracomunitaria in Italia. Leggendo il racconto, le salsicce fanno ridere, perché c’è una connotazione con qualcosa di allegro e piacevole piuttosto che tragico. Nel racconto le salsicce sono la chiave per la narratrice per rendersi italiana che dal punto di vista logico è assurdo e per di più ridicolo. Le salsicce fanno ridere compiaciuto come lo fanno anche la rappresentazione stereotipica di Titì e Fausto nel film. Quindi abbiamo due modi grotteschi di narrare, l’uno realizzato nella forma di un film, l’altro nella forma di un testo. E tutti e due usano una chiave umoristica per illustrare problemi, per portare tabù politici e storici alla superficie (cf. Luijnenburg 2014: 54).

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3.2. Il rapporto tra colonizzatore e colonizzato in Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa? e Salsicce

Possiamo notare che il film die Ettore Scola, in un certo modo, rappresenta anche il colonialismo. Il film è uscito nel 1968 e gli anni 60 sono stati gli anni della decolonizzazione. La Somalia è diventata indipendente dopo la colonizzazione italiana nel 1960 e nel film abbiamo tanti elementi che la indicano, come per esempio il contrasto tra uomo bianco e uomo nero (cf. Luijnenburg 2014: 44s), che troviamo in diverse scene che mostrano Titì nella tribù o Fausto al viaggio d’esplorazione in Africa. Tra queste scene però c’è anche una differenza determinante, perché Titì è adorato dagli Africani, mentre Fausto si trova spesso in situazioni in cui viene reso ridicolo dagli Africani. Questa differenza è presente anche nel rapporto tra colonizzatore e colonizzati. Possiamo fare il paragone con Fausto che troviamo nel ruolo del colonizzato e Titì che rappresenta il colonizzatore. Il colonizzatore è ammirato, come anche Titì viene ammirato, mentre il colonizzato è disprezzato, il che succede a Fausto. Così abbiamo anche nel racconto l’italiano che viene visto come l’uomo ideale e l’extracomunitario che viene sempre condannato (cf. Scego 33), l’unica particolarità è che tutti e due i ruoli sono rappresentati da uomini italiani, sia il ruolo dal colonizzatore sia il ruolo dal colonizzato. Abbiamo un nuovo tipo di colonizzato e anche un nuovo tipo di razzismo. Il razzismo lo troviamo anche nel racconto, ma in maniera più frequente, cioè una Africana nel mondo Europeo.  Quindi abbiamo il razzismo, sia nel racconto che nel film, mentre si deve fare la distinzione tra il razzismo che vuole eliminare l’altro e quello che vuole sfruttamento, che è tipico per il colonialismo. Però una certa differenza di questo rapporto nel film e nel testo c’è: mentre i caratteri del film non sembrano essere consapevoli che si comportano come colonizzatore, nel ruolo di Titì, o colonizzato, nel ruolo di Fausto, la narratrice del racconto dopo aver letto un articolo nel giornale si lamenta per il fatto che i neri vengano sempre accusati di essere dei criminali. Lei si lamenta che dopo aver trascorso tanti anni in Italia, gli Africani vengono ancora visti come colonizzati, come gente di poco valore per la società italiana:

Mi sento una papabile al pestaggio. Sarei perfetta, nessuno alle spalle per difendermi. Un capro perfetto, la perfetta “negra” da picchiare. Strano che nessuno ci abbia pensato. Non c’è di traverso- nella migliore delle ipotesi- o di pestaggi, roghi, lapidazioni, stupri, crocifissioni, omicidi- nella peggiore. (Scego 2009: 33)

La narratrice accusa gli italiani per avere pregiudizi contro gli Africani e così era anche già nel tempo del colonialismo italiano quando i colonizzati sono sempre stati visti come persone di una posizione umile, gente di seconda priorità. Tutto ciò deriva dalla opinione che gli Africani sono maleducati e non sanno come comportarsi in un paese educato come l’Italia. Anzi hanno bisogno degli italiani per educarli e renderli meno africani e più europei.

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3.3. La ricerca dell’identità

L’identità ha un ruolo fondamentale sia nel film che nel racconto ed è anche l’elemento che li unisce maggiormente, come tenteremo ora di dimostrare analizzando il rapporto tra la scena del film che viene esplicitamente evocata nel testo e la lettura che di questa scena dà la narratrice. Ci troviamo verso la fine della storia: il personaggio-narratore vuole dimenticarsi le salsicce e si siede davanti alla TV. Facendo dello zapping ad un tratto capita sulla scena finale del film di Scola. Dopo lunghe ricerche in giro per l’Africa Fausto finalmente ritrova Titì in un piccolo villaggio, dove Titì è diventato il santone di una tribù primitiva. Succede questo e questo è alla fine Fausto riesce a convincere Titì a ritornare a Roma. Di notte mentre tutti dormono si incamminano verso la spiaggia, dove prendono la barca, ma la popolazione del villaggio richiama” Titì nun ce lascia” e lui non resiste e li segue tuffandosi dalla nave per ritornare dalla sua tribù. Rivediamo la scena:

Ed ecco il modo in cui la scena viene rievocata (e quindi riletta) nel racconto:

Ed è in quel momento del film che arrivo io con il mio zapping. Manfredi si commuove quando sente il richiamo violentodella sua tribù: “Titì nun ce lascià!”, gridano; e luinon resiste! Mi commuovo anch’io quando lo vedo salire sul predellino della nave tuffarsi per tornare a nuoto da quella che è ormai la sua gente. Ma mi commuovo ancora di più quando vedo la faccia di un Sordi disfatto da un sentimento strano condito di amarezza, stupore e invidia. Accenna a gettarsi dietro al cognato, ma il ragioniere giustamente lo ferma, lo richiama nei ranghi. Lui, Sordi, non ha scelta, non è libero come il cognato, lui è condannato ad essere sempre un borghese che deve ritornare nel recinto di una vita alienante. Non ha scelta. Questa scena mi distrugge, mi metto a piangere. Guardando quei due uomini mi rendo conto che io ho ancora una scelta, ho ancora me stessa. Posso tuffarmi in mare come Manfredi-Titì. (Scego 2009: 35)

La narratrice vede la scena e qualcosa dentro di lei cambia. Prima abbiamo il discorso con le salsicce, che implica nient’altro che la sua italianizzazione. La narratrice vuole rendersi più italiana mangiando le salsicce, per finalmente essere italiana e avere una nazionalità. Nonostante però non riesce proprio a mangiare le salsicce perché sa che andrebbe contro la sua religione musulmana, contro la sua identità. Poi, trovandosi in un pasticcio, decide di fare una pausa e vede la scena con Titì e Fausto e questo è l’evento chiave del racconto in cui la narratrice impara che ha sempre una scelta nella vita. È lei a definire chi è. Avendo capito questo guarda le salsicce e si rende conto che mangiarle o no non cambierebbe nulla. Lei sarei sempre sé stessa, sempre un mix tra italiana e somala e finalmente riesce ad accettarlo. Abbiamo una maturazione del personaggio.

La scena del film è la svolta del racconto e porta dalla crisi all’accettazione. La cosa difficile però è essere accettata così come è nella cultura Italiana, come Manson dice:

The real struggle lies in convincing others that this is acceptable, and that to be Italian you need not renounce completely your former cultural allegiance: a practice that has been made even more difficult in an Italy, whose immigration laws discriminate against and identify immigrants as potential criminals. (Manson 2004: 9)

È veramente difficile vivere in Italia essendo da un paese straniero e così è per tanti extracomunitari che vivono nel belpaese da tanto tempo e bisogna dare una voce a coloro che soffrano sotto questa situazione di dover rinunciare la loro identità.

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4. Conclusione

Abbiamo visto che l’interazione tra il racconto della Scego e il film di Scola si realizza su vari piani. A livello di genere narrativo abbiamo visto come le caratteristiche della commedia all’italiana costituiscano un elemento fondamentale per la concezione stessa del racconto. Sia la commedia all’italiana, sia il racconto „Salsicce“ prendono l’umorismo come strumento per criticare il paese e la gente. Più notevole però è il grottesco. Nel film le due persone principali sono presentati in modo comico, anche se sono tristi – come si vede nell’ultima scena del film.  Il grottesco nel racconto invece deriva dal fatto che i würstel non hanno nulla a che fare con l’insicurezza della narratrice. Inoltre il racconto usa il stereotipo del cibo tradizionale d’Italia – cioè le Salsicce –, nel film c’è la rappresentazione stereotipia di Titì e Fausto. Per questo si usa i stereotipi e il concetto di persone medie con l’umorismo ed il grottesco per – come già detto – criticare. E criticare in un modo comico è una caratteristica principale della commedia all’italiana.

A livello tematico abbiamo invece visto un altro aspetto importante dell’interazione tra film e testo. Per prima cosa abbiamo il colonialismo che troviamo sia nel film sia nel racconto. Nel film abbiamo Titì che funge in qualche modo come un colonizzatore, mentre Fausto si sente come un colonizzato in un paese sconosciuto per lui. Nel racconto invece c’è la narratrice che si sente di essere vista come una colonizzata in Italia. Per di più abbiamo un rapporto simile con l’altro: nel film Fausto si sente come uno straniero perso in un mondo sconosciuto. Infatti è un po’ perso è non viene mai trattato come un uomo dal popolo. Quello assomiglia un po’ la situazione della narratrice del racconto. Lei vive in Italia da tanto tempo ma è somala. Conosce tutti e due culture ma non viene mai considerata Italiana, anzi viene trattata come una straniera il che può essere riportato indietro al colonialismo italiano e la concezione dagli italiani in riguardo alla gente dell’Africa.

Infine, a livello strutturale, abbiamo invece visto come la citazione esplicita di una scena del film all’interno del racconto rivesta una funzione fondamentale nella struttura narratologica stessa del testo, nel senso che causa una svolta. Viene inserita questa scena che forma il climax del racconto e svolge il racconto in una nuova direzione.

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5. Bibliografia

Camilotti, Silvia (2016), “A dieci anni da Pecore nere, continuità e svolte”. In: mediAzioni 19, http://mediazioni.sitlec.unibo.it  (02.02.2017).

Clò, Clarissa. (2012): “Hip Pop Italian Style: The Postcolonial Imagination of Second- Generaton Authors in Italy”, In: C. Lombardi, Diop; C. Romeo: Postcolonial Italy. Challenging National Homogeneity. New York: Palgrave Macmillan, 275-291.

Hanna, Monica (2004): „Non siamo gli unici polemici“. Intersecting difference and the multiplicity of identity in Igiaba Scego’s Salsicce. o.O.: o.V. 67-76.

Luijnenburg, Linde (2014): The grotesque as a tool. Deconstructing the imperial narrative in two commedie all’italiana by Ettore Scola. In: Incontri. Rivista europea di studi italiani. 29(2), 43-54.

Scego, Igiaba (20094): Salsicce. In: Capitani, Flavia; Coen, Emanuele (eds.): pecore nere. racconti. Bari: Laterza, 23-36.

Siggers Manson, Christina (2004): Sausages and Cannons. The search for an identity in Igiaba Sego’s Salsicce. o.O.: o.V. 77-86.

Sinopoli, F. (2015) “Caratteri transnazionali e translinguismo nella letteratura italiana contemporanea”, La modernità letteraria (8), Pisa e Roma: Fabrizio Serra, 53-63.

Treccani (o.J.) = Treccani. L’identità. In: http://www.treccani.it/enciclopedia/identita/ (24.01.2017).

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5.1. websites

http://www.festivaletteraturemigranti.it/speaker/igiaba-scego/

http://www.istitutosup-gavirate.it/studenti/immigrazione/pecore_nere.html

http://archivio.elghibli.org/index.php%3Fid=1&issue=01_04&section=6&index_pos=1.html

https://www.youtube.com/watch?v=SQrLnRjSccw

http://www.raistoria.rai.it/articoli/colonialismo-italiano-in-africa/33290/default.aspx

http://www.ilpost.it/2013/10/04/legge-bossi-fini/

credito dell’imagine: Igaba Scego tramite festivalletteratturemigranti.it

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  1. Igiaba Scego è nata a Roma da genitori somali. E fin da subito sentiva una scissione in riguardo alla sua identità, perché viveva tra due culture. A casa sua viveva nella cultura somala e con la religione islamica, mangiando i piatti tipici della Somalia e parlando il somalo. Poi c’era la vita fuori casa dove era sempre in contatto con la cultura italiana, andando a scuola e guardando la televisione. Quello ha influenzato anche le sue opere, come lei stessa dichiara durante un’intervista: «È chiaro che questa esperienza sia poi passata nella mia scrittura». []

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