Treno di panna

di Lisa Scheiber e Claudia Zocchi

1. Introduzione
2. La trama del romanzo
3. Teoria: tecniche narrative
3.1. Focalizzazione
3.2. Iperrealismo
3.2.1. Lo sguardo attraverso il vetro
3.3. Narrazione fotografica e “Tecnica-camera-eye
4. Analisi testuale
5. Conclusione
6. Bibliografia
6.1. Letteratura primaria
6.2. Letteratura secondaria
6.3. Pagine web

1.    Introduzione

Film come “Il Signore degli Anelli” o “Harry Potter” sono soltanto alcuni degli esempi più recenti del modo in cui siamo soliti pensare il rapporto tra cinema e letteratura, ossia la trasposizione cinematografica di libri di successo. Tuttavia i rapporti tra cinema e letteratura sono in realtà molto più complessi. Ciò che qui ci interessa è, se così vogliamo, il rapporto inverso a quello appena descritto, ossia il modo in cui il cinema ha influenzato e tuttora influenza la letteratura.

Il romanzo d’esordio di Andrea De Carlo, Treno di panna (1981) è forse uno degli esempi più noti di sperimentazione delle tecniche cinematografiche sul testo letterario. In quanto segue tenteremo di analizzare in modo puntuale sia le tecniche utilizzate da De Carlo che la funzione (stilistica e semantica) che queste tecniche assolvono nella composizione del testo letterario. Perché De Carlo usa certe tecniche nel suo romanzo? Qual è la funzione di ogni singola tecnica e che cosa succede quando si mescolano le diverse tecniche?

 

2.    La trama del romanzo

In Treno di panna Giovanni Maimeri, il 25-enne io narrante, presenta le sue esperienze nel mondo del lavoro e del film a Los Angeles e a Hollywood. Crea un mondo parallelo che è artificioso e nel quale stanno al centro gli star, i registi e i reporter del film. In più introduce anche alcuni giovani talenti incompresi che stanno ancora aspettando a poter entrare in tale mondo del successo.

Più o meno per coincidenze Giovanni Maimeri riesce ad entrare nella sfera dei ricchi. Fa partecipare i lettori a tutto quello che sta osservando attraverso lo sguardo attento, imperturbabile, ma anche cinico-distante dell’emarginato, passando il percorso di una postmoderna sorta del American Dream dal cameriere all’insegnante di lingue fino all’amico intimo della diva del film Marsha Mellows.

 

3.    Teoria: tecniche narrative

3.1.         Focalizzazione

A prima vista in Treno di panna si tratta di una focalizzazione interna fissa. Si trova un narratore che è presente come personaggio nella storia e che spiega le situazioni. Però leggendo il testo ci si rende conto che non si tratta di una classica focalizzazione interna, perché allo stesso tempo si trova anche una focalizzazione esterna.

In generale l’io narrante entra nella categoria del narratore omodiegetico, è un narratore di secondo grado che racconta la sua propria storia. Però nel caso di Treno di panna, l’io narrante è un narratore allodiegetico. Anche se Giovanni Maimeri sembra essere l’eroe della storia in realtà agisce più come un osservatore, perché esprime le situazioni senza veramente entrare nella trama.

Come gli spettatori di un film al cinema i lettori del libro non sanno che cosa stia pensando il narratore. Non vengono neanche spiegati i pensieri degli altri personaggi. Solo attraverso le spiegazioni e le immagini i lettori possono interpretare come si sentono i personaggi e che cosa pensano.

Con la frequente tematizzazione dell’io narrante e dell’atto di vedere viene sottolineata la presenza del personaggio narrativo e quindi anche il fatto che è il narratore che percepisce in modo particolare le cose e le persone che stanno intorno a lui. Nello stesso tempo viene marcato anche che lo sguardo è uno sguardo frammentato e momentaneo (cf. Rajewsky 2003: 154).

Di rilievo lessicale è anche il frequente uso dei verbi che tematizzano l’atto del vedere, per esempio ‘osservare’, ‘vedere’, ‘fissare’. In quasi ogni caso si tratta di un ‘guardare’. Quasi sempre il narratore spiega l’atto di vedere degli altri personaggi come un ‘guardare’. In parte il ‘guardare’ viene usato anche in modo anaforico per cui esso viene ancora più sottolineato (cf. ibid.).

Nei seguenti esempi viene dimostrato come De Carlo usa proprio questo verbo ‘guardare’. Quattro su cinque paragrafi sulle pagine 28 e 29 cominciano con questo verbo:

“Guardavo i negozi italiani di abiti che si affacciavano sulla strada in forma di immense scatole di confetti, C’erano gioiellerie come ambasciate ottocentesche: con pilastri e marmi sulle facciate, tende di velluto negli atrii. […]” (De Carlo 1981: 28)

“Guardavo la gente davanti e dietro alle vetrine; le grandi macchine che passavano raso al marciapiede e si fermavano per qualche minuto senza aprire le portiere. Fermo a un angolo ho osservato una signora mentre parcheggiava una Rolls Royce grigia in uno spazio ristretto tra due altre automobili. Cercavo di registrare i suoi gesti, il suo modo di inclinare la testa […]”(Id.: 29)

“Guardavo gli oggetti esposti nelle vetrine: mi colpiva la loro consistenza, la loro densità nella luce.” (Ibid.)

“Guardavo ragazze che camminavano veloci, con calzoni larghi chiusi alle caviglie e guance arrossate; signore di mezz’età con occhiali pesanti e sandali sottili; uomini con pance e abbronzature di diverso spessore. Non riuscivo bene a capire che faceva davvero parte della scena, e chi invece era ai margini e si limitava a indossare modi di fare abiti di ruolo. […]”(Ibid.)

Riflettendo sugli esempi ci si rende conto che questo ‘guardare’ è polisemico. Mentre nel primo e nel terzo esempio il ‘guardavo’ ha più il senso di „vedere“, nel secondo e nel quarto invece sembra piuttosto un ‘osservare’. Ciò risulta dal fatto che il primo e terzo ‘guardare’ si riferiscono ad oggetti che si trovano in posizione fissa, e gli altri due si rivolgono a persone che sono in movimento. E quindi anche lo sguardo dell’osservatore deve essere in movimento e riceve più impressioni.

Per quanto riguarda la focalizzazione soprattutto il quarto esempio è significante: da una parte, con l’uso di ‘guardare’, viene accentuata le focalizzazione esterna che è simile a quella che si trova nei film, dall’altra parte De Carlo riesce a mischiare questa focalizzazione esterna con una focalizzazione interna, aggiungendo dei pensieri e riflessioni all’io narrante.

3.2.         Iperrealismo

L’iperrealismo è una tendenza artistica, nata negli Stati Uniti alla fine degli anni Sessanta e influenzata dalla pop art. Negli anni Settanta l’iperrealismo è arrivato anche in Europa. Lo scopo dell’iperrealismo è di riprodurre una “realtà al massimo grado” (Mirabile, Iperrealismo) in modo esagerato, servendosi di tecniche fotografiche.

Viene osservata e riprodotta la società dei consumi (cf. ibid.). Nel focus dell’iconografia stanno “figure umane, scenari cittadini oppure inanimati descritti con uno stile spesso influenzato dalla pubblicità: colori aggressivi, inquadrature fortemente concentrate sul soggetto principale.”(Ibid.) Si tratta di una rappresentazione di realtà, immagini ideate e illusioni (cf. Klettke 2009: 23). È una specie di ultradefinizione della realtà, ma di una realtà deformata e alterata per arrivare al dettaglio più sottile e nitido (cf. Rajewsky 2003: 171).

Queste realtà deformate molto spesso vengono create attraverso rispecchiamenti in vetri o specchi. Il rispecchiamento dà la possibilità di inserire degli elementi che sembrano reali, però al secondo sguardo ci si rende conto che in realtà non ci sono. Da una parte l’artista riproduce la vera e propria realtà, cioè quella che vede, dall’altra parte aggiunge all’interno del rispecchiamento elementi nuovi. Così viene costruita una rappresentazione iperrealistica. Il tale fenomeno si vede sull’immagine seguente:

Bildergebnis für iperrealismo

Richard Estes: Bus Reflections (1972)

3.2.1.         Lo sguardo attraverso il vetro

In Treno di Panna De Carlo fa uso di questo aspetto particolare dell’iperrealismo. Il frequente „sguardo attraverso il vetro“ è un metodo per manipolare la percezione. Qui non si tratta soltanto di veri e propri sguardi attraverso finestre, finestrini della macchina e vetrine di negozi, bensì anche di filtri visivi come gli occhiali da sole, le lenti fotografiche, la luce al neon, i raggi solari oppure veli come gas di scarico, pioggia e nebbia. Ognuno di questi tre “sguardi” manipola la percezione in un certo modo. Mentre il vetro crea distanza, il filtro frammenta e distorce e il velo ha il compito di offuscare la vista. Così vengono create immagini mediali senza una diretta osservazione. La combinazione di lastri e filtri che si sovrappongono, provocano in più una intensificazione di questo procedimento (cf. Klettke 2009: 40-41). “Il vetro, nel senso più ampio possibile, diventa in ultima analisi metafora della vita in una realtà televisiva la cui irrealtà è svelata dallo sguardo iperrealistico.” (Id.: 40) Nell’opera non viene manipolata solo la percezione, ma a causa del consumo di cocaina e marijuana anche la coscienza (cf. id.: 42-43).

3.3.         Narrazione fotografica e “Tecnica-camera-eye

Il narratore non solo esprime o mostra l’ambiente in modo immaginoso, di più sembra che esso percepisca l’ambiente e se stesso in una serie di fotogrammi. Questo si vede soprattutto grazie al frequente uso delle parole ‘guardare’ e ‘immagine’.

Tramite ellissi nella sintassi De Carlo dà al lettore l’impressione di vedere fotogrammi statici oppure in movimento (cf. Rajewsky 2003: 172). La frammentazione dei movimenti è una delle principali tecniche della manipolazione della percezione sensoriale (cf. Klettke 2009: 34).

“L’io narrante mira […] a interrompere il flusso di immagini nel mondo delle pose filmiche. […] Nell’immagine fotografica in movimento del film hollywoodiano il movimento si verifica invisibilmente nell’intervallo fra i singoli fotogrammi statici.” (Klettke 2009: 35)

La narrazione fotografica funge come imitazione letteraria caratterizzata da procedimenti fotografici. Di conseguenza viene raccontato un movimento delle persone che fa pensare a quello in un film che è però soltanto un’illusione ottica trattandosi di fotogrammi. Attraverso lo sguardo intermittente del narratore, il flusso di immagini viene decostruito in fotografie (cf. Id.: 35-37) “Si tratta [allora] di una decostruzione fotografica della percezione filmica.” (Id.: 37)

Il narratore è anche capace di registrare, cancellarle e tirarle fuori dalla mente. Si possono guardare immagini memorizzate, anche più di una nello stesso tempo, con il risultato di un’impressione completa che ha un carattere scenario (cf. Rajewsky 2003: 172-173).

Insieme alla narrazione fotografica De Carlo fa uso anche della cosiddetta “tecnica-camera-eye”. In Treno di Panna l’io narrante funge come una fotocamera che presenta soltanto quello che vede senza giudicare, mostrare emozioni, o riflettere sull’azione. C’è solamente una relazione neutra e oggettiva. In questo senso si parla anche di una “registrazione neutra”. Vuol dire che il narratore percepisce solo l’aspetto esterno degli oggetti e delle persone e la loro relazione spaziale (cf. Id.: 159-160).

Però alla fine non si può mai parlare di una prospettiva completamente neutra, perché con la scelta della posizione della fotocamera, che è sempre soggettiva, si decide che cosa può essere registrato e che cosa viene tralasciato. È proprio questo il modo in cui agisce l’io narrante e che caratterizza la focalizzazione del romanzo (cf. Id.: 160-161).

 

4.    Analisi testuale

Nel seguente capitolo vengono dati degli esempi concreti che fanno vedere le diversi tecniche già discusse. Ci si renderà conto che i deversi metodi narrativi si sovrappongono e si intrecciano, tirando fuori che non esistono dei confini fissi tra essi.

Già all’inizio del romanzo si trovano degli esempi per questa mescolanza delle tecniche narrative in Treno di panna. I due paragrafi in seguito si trovano sulla pagina quattro e già lì De Carlo fa uso dell’iperrealismo e mette in scena “lo sguardo attraverso il vetro”.

“Mi sono infilato nel bagno della sala arrivi a guardarmi la faccia. La luce di neon era falsa e piatta: sembravo teso e stanco più che in realtà. Nemmeno la mia abbronzatura veniva fuori come mi ero immaginato. […]” (De Carlo 1981: 4)

“Gli occhi sotto le sopracciglia invece erano molto azzurri, come capita mi diventino di mattina presto, o dopo un viaggio lungo o scomodo. Non mi sono sembrati privi di luce o di profondità. Ho provato due o tre espressioni allo specchio: dilatato le narici, piegato gli angoli della bocca, gonfiato le guance. Ho controllato i due profili: sinistro e destro, in successione ravvicinata. […]” (Ibid.)

Da una parta l’io narrante dà al lettore una descrizione dettagliata di se stesso senza però spiegare molto i propri pensieri. Dall’altra parte il narratore dichiara che non si tratta veramente della realtà. La luce di neon funge come un filtro che in un certo modo deforma il suo aspetto fisco. Con l’uso di queste due tecniche De Carlo vuole rendere cosciente il lettore del fatto che l’io narrante si trova in un posto completamente diverso e lontano da casa sua. La “deformazione” del suo viso simbolizza questo cambiamento dell’ambiente in cui si trova adesso. In più viene data una valutazione critica del nuovo aspetto fisico, senza però esprimere esplicitamente un’opinione.

Nei seguenti esempi invece sono descritti degli oggetti non animati come le macchine e la freeway. Con tali descrizioni viene creata ancora più distanza tra l’io narrante e il suo mondo di emozioni, e così tutta l’osservazione diventa ancora più obiettiva.

“La panchina era a un incrocio, all’altezza del semaforo. Vedevo le macchine a pochi centimetri, la gente parallela che si occhieggiava attraverso i vetri. I dorsi delle macchine brillavano alla luce dei lampioni del villaggetto; dai finestrini socchiusi uscivano vampate di musica. […]” (Id.: 63)

“La linea della strada era tangente a quella delle freeway: non parallela come sembrava da casa di Ron e Tracy. Alla fermata di Van Nuys le due linee erano ancora molto distanti. La presenza della freeway era appena percepibile, in forma di un lontano ronzio diffuso. […]” (Id.: 64)

Siccome la freeway, un posto veramente stressante che normalmente non provoca emozioni positive, è il punto di riferimento e di cui viene raccontato, viene trasmesso al lettore ancora di più il disagio che sente l’io narrante.

Il seguente esempio dimostra un’unificazione di tutte le quattro tecniche cinematografiche. Mentre negli esempi precedenti l’iperrealismo e “lo sguardo attraverso il vetro” sono le tecniche più significanti, nell’esempio successivo la narrazione fotografica è la tecnica più dominate che viene però anche accompagnato dalla “tecnica-camera-eye”:

“La mia vita quotidiana mi pareva una sorta di filtro opalino, attraverso cui osservare una catena infinita di possibilità inespresse. Vedevo decine di immagini di me stesso a Los Angeles, in ruoli diversi ma comunque dall’altra parte delle siepe e cancelletti che andavo a guardare ogni giorno. Ogni tanto queste immagini si sovrapponevano a immagini della mia vita reale: io che davo pugni al condizionatore difettoso; io che facevo colazione guardando nel parcheggio dalla finestra a ghigliottina. In questi momenti mi colpiva come pensiero curioso l’idea di vivere parallelo alle case di Bel Air e alle attività che contenevano; ruotando in una sfera vicina e trasparente ma del tutto impermeabile. […]” (De Carlo 1981: 114)

Già nella frase introduttiva della scena il lettore si rende conto che la percezione viene di nuovo manipolata da “uno sguardo attraverso il vetro”, per cui è responsabile “[…] una sorta di filtro opalino […]” (Ibid.), che distorce e frammenta quello che si vede. Di seguito con il continuo uso della parola ‘immagine’ ci si cosciente che a partire dalla seconda frase, la scena è basata soprattutto su fotogrammi, che sono un elemento principale della narrazione fotografica. Per poter produrre tali ‘immagini’ l’io narrante si deve posizionare e fungere come una fotocamera che contemporaneamente verifica la presenza della “tecnica-camera-eye”. Come nelle opere d’arte dell’iperrealismo, dove, a causa di una finestra per esempio, c’è quasi sempre una divisione di due sfere (dentro e fuori), anche il narratore ha la sensazione di vivere in un mondo parallelo alla realtà.

Trattandosi di una descrizione della vita quotidiana dell’io narrante, il lettore può farsi l’idea che da un lato il protagonista è solo un osservatore della sua propria vita senza poter influenzare o cambiare tutto quello che succede intorno a lui e a se stesso. Dall’altro lato non si ha l’impressione che il protagonista sia contento con la situazione attuale e che abbia la motivazione e la forza di cambiare e di fuggire dalle sue abitudini. Tutto ciò risulta dal fatto che funge soltanto da osservatore e in più che vive in un mondo parallelo, costruito da fotogrammi.

Anche nei prossimi esempi si vede che le tecniche cinematografiche elencante spesso vanno insieme e in più ci si rende conto che solo esistendo una accanto all’altra, le tecniche funzionano in modo efficace. Ciò risulta dal fatto che si sovrappongono in tanti aspetti e che sono interdipendenti. Mentre nell’iperrealismo quasi sempre c’entra anche “lo sguardo attraverso il vetro” che manipola la percezione e deforma la realtà, la narrazione fotografica, da un lato, è basata sulla “tecnica-camera-eye”.

“Per esempio: a momenti pensavo che avrei voluto fare l’attore. Quest’idea reggeva per qualche tempo l’equilibrio dei miei pensieri; sei li distribuiva attorno con grazia tale da fare apparire secondaria ogni considerazione pratica sul come farlo ecc… Ma non era un’idea fatta di sensazioni confuse. Era fatta di immagini, film o fotografie mentali: io in una grossa automobile che rispondevo ai saluti di gruppi di persone in strada; io sul bordo di una piscina in conservazione con diverse ragazze molto belle; io che parlavo davanti a due e tre telecamere, abbagliato dai riflettori.” (De Carlo 1981: 147)

“Quasi sempre queste visioni erano ricche di dettagli, definite nei particolari piú [sic!] minuti. Mi bastava addentrarmi nel loro tessuto con una lente di ingrandimento per osservare lo sviluppo di immagini secondarie. A volte stavo per ore di seguito a guardarle da vicino: le ripercorrevo decine di volte, senza riuscire ad abbandonare il tepore irreale che producevano. Dovevo aspettare che si esaurissero da sole.” (Ibid.)

“Quando le immagini si erano sfaldate fino all’inconsistenza, venivano sostituite da pensieri del tutto incompatibili. Le considerazioni sul come divenivano dominanti, e io le stavo a guardare come uno guarda un muro abbastanza alto da non poterlo superare. Mi vedevo peggio di com’ero: goffo e presuntuoso, intralciato da ogni sorta di dettagli secondari. […]”(Id.: 147-148)

Il risultato ricorrente della mescolanza dei metodi narrativi è che pur avendo una descrizione presunta obbiettiva, vengono scoperte le emozioni e i desideri del protagonista. In primo luogo viene tematizzato l’illusione dell’American Dream di cui è alla ricerca la maggior parte dei personaggi del romanzo. Inoltre viene estesa quest’immaginazione e, dando delle fotogrammi di questo futuro sperato, al lettore viene spiegato di come potrebbe essere questa vita.

 

5.    Conclusione

“La giovinezza è tante cose, anche una particolare acutezza dello sguardo che afferra e registra un enorme numero di particolari e sfumature; un insaziabilità degli occhi che bevono spettacolo del mondo multicolore ingigantiti come attraverso una lente d’un teleobiettivo.” (Calvino ad De Carlo, 1981: quarta di copertina)

Come Italo Calvino diceva: gli occhi hanno un ruolo fondamentale, perché tutte le impressioni che vengono date al lettore si basano su osservazioni registrate attraverso gli occhi di Giovanni Maimeri. Queste impressioni, che vengono messe in scena come immagini, o in più come fotogrammi, dimostrano al lettore solo in modo implicito le emozioni e l’opinione dell’io narrante. Grazie alle tecniche cinematografiche usate è possibile questa narrazione “pseudo-neutra”.

Si può parlare di una narrazione “pseudo-neutra” perché è questo lo scopo dell’uso di questi metodi cinematografici che aveva in mente De Carlo. Da una parte queste tecniche danno all’autore la possibilità di descrivere lo scenario in modo obiettivo. Soprattutto a causa del carattere immaginifico, che assomiglia molto alle scene di un film, risulta il fatto che non viene sentenziato un’opinione ne viene giudicato. Però dall’altra parte, a causa della scelta degli scenari, che in un film sarebbe la posizione della fotocamera, l’autore influenza in modo soggettivo lo svolgimento della storia. È lui che decide con precisione ciò che viene mostrato al lettore e cosa no, e così ci sarà sempre un aspetto soggettivo.

 

6.    Bibliografia

6.1.         Letteratura primaria

De Carlo, Andrea (1981): “Treno di panna”. Torino: Einaudi.

6.2.         Letteratura secondaria

Klettke, Cornelia (2009): “Le possibili vite di un artista. Andrea De Carlo e le varietà selle sue alterità immaginate”. Firenze: Franco Cesati Editore.

Rajewsky, Irina O. (2003): “Intermediales Erzählen in der italienischen Literatur der Postmoderne. Von den giovani scrittori der 80er zum pulp der 90er Jahre“. Tübigen: Gunter Narr Verlag.

6.3.         Pagine web

Mirabile, Bettina (2005): “Iperrealismo“. In: Treccani [http://www.treccani.it/enciclopedia/iperrealismo_(Enciclopedia-dei-ragazzi)/ ]. Data di consultazione: 19.01.17.

[http://www.criticaletteraria.org/2013/11/Andrea-de-carlo-esordio-treno-di-panna-einaudi-recensione.html]. Data di consultazione: 06.03.17.

[http://www.andreadecarlo.com/www.andreadecarlo.com/Ciao.html]. Data di consultazione: 06.03.17

 

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