La vita è bella

Interpretazione delle differenze tra la sceneggiatura e il film La vita è bella di Roberto Benigni in base all’analisi di tre scene scelte

di Dario Notte ed Elena Steixner

1. Introduzione
2. La sceneggiatura
2.1. Come scrivere la sceneggiatura
2.1.1. Scrivere al presente
2.1.2. Plasticità della materia
2.1.3. Visibilità: Mettere per iscritto la sceneggiatura
2.1.4. Regia invisibile
3. Analisi e interpretazione delle scene scelte
3.1. Riparazione turbolente: Una classica dimostrazione del gag
3.2. Il colore del vestito: La funzione simbolica dei colori
3.3. Un indovinello: Il personaggio del dottor Lessing
4. Conclusione
5. Bibliografia

 

1. Introduzione

La vita è bella (1997) è uno dei film più celebrati di Roberto Benigni. Ebbe un grande successo internazionale e fu nominato per sette Oscar vincendone tre. Affrontando il tema della deportazione e dello sterminio degli ebrei durante il nazifascismo con i toni umoristici della tragicommedia il progetto attirò grande attenzione, ma fu anche aspramente criticato.

La maggior parte dei lavori scientifici che si occupano di questo lavoro di Benigni esaminano il suo contenuto e valore cinematografico. Essendo in tanti questi lavori che trattano tali temi, gli aspetti tecnici del film come la sceneggiatura, il montaggio ecc. invece sono stati scarsamente tematizzati. Per colmare le lacune legate alla mancanza di analisi tecnici lo scopo di questo lavoro è di analizzare il rapporto tra la sceneggiatura e il film.

Nonostante Benigni scrisse la sceneggiatura, fece il regista e impersonò il ruolo di Guido, il personaggio  principale, ci si trova delle differenze tra la sceneggiatura e la versione finale del film. Essendo un caso così particolare rende ancora più interessante le domande perché alcune scene furono cambiate e sotto quali aspetti Benigni le scelse o meno.

Per dare risposta a queste domande, questo articolo si occupa delle basi teoriche della sceneggiatura e la sua scrittura. Partendo dalla teoria vengono analizzate e interpretate delle discrepanze tra la sceneggiatura e il film attraverso tre scene scelte. Tramite questa analisi, questo articolo mostra che la sceneggiatura di La vita è bella corrisponde a tutte le caratteristiche  che la definiscono una sceneggiatura classica. Essendo però un testo letterario che prima della realizzazione filmica non può essere considerato finale, ci saranno sempre delle differenze tra sceneggiatura e film.  Tali differenze, anche se magari sembrano insignificante, non vanno sottovalutate. Infatti questo lavoro rivela che le più piccole discrepanze possono influenzare eppure cambiare il modo in cui il film viene visto ed interpretato.

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2. La sceneggiatura

Prima di passare ad un analisi comparata tra film e sceneggiatura, è bene soffermarsi sulla complessa questione della definizione sceneggiatura in quanto genere testuale. Nell’economia della nostra analisi, ci baseremo soprattutto sulle considerazioni che si trovano nel volume di Luca Aimeri, secondo il quale la sceneggiatura è „un testo scritto che  sta all’origine delle immagini del film“ (8). Per essere più precisi è la versione scritta della narrazione che racconta il contenuto del film mediante le immagini ed è fondamentale per la concretizzazione del proggetto filmico. Dunque la scieneggiatura deve essere scritta in tale modo che leggendo le parole dovrebbero creare delle immagini (9). Però pur essendo un testo scritto la sceneggiatura non segue le stesse regole di un testo letterario „tradizonale“, come per esempio un romanzo o un racconto poiché lo sceneggiatore, scrivendo, deve necessariamente già pensare alla traduzione dello scritto in immagine e quindi alla futura realizzazione del film. In più, sempre secondo Aimeri, la sceneggiuatura non può essere vista come un lavoro concluso dato che rappresenta solamente la prima tappa della realizzazione del progetto filmico. Al contrario di un romanzo il testo della sceneggiatura „non è concepito per durare, ma per cancellarsi, per divenire altro“ (Jean-Claude Carrière cit. in Aimeri 13). Durante l’intera produzione del film, la sceneggiatura è esposta a cambiamenti. Passando di mano in mano viene continuamente interpretata diversamente cioè cambiata e riscritta (il che, tuttavia, vale a ben guardare anche per i romanzi…). In conseguenza il montaggio rappresenta l’ultima tappa della realizzazione di una sceneggiatiura ovvero il progetto filmico (Aimeri 13-14).

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2.1. Come scrivere la sceneggiatura

Come già menzionato prima, la sceneggiatura segue regole diverse dal testo letterario in senso proprio (cioè non scritto nè per il teatro nè per il cinema). Per garantire che il film sia realizzabile lo sceneggiatore deve rispettare certe norme durante il processo di scrittura.

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2.1.1. Scrivere al presente

Una delle differenze più macroscopiche tra la sceneggiatura e un testo narrativo in senso proprio è la scrittura al presente. Mentre per esempio un romanzo usa spesso i tempi del passato, una sceneggiatura viene sempre scritta al presente perché anche quello che gli spettatori vedono sullo schermo accade sempre nel presente. È dunque chiaro che in quanto “specchio letterario di un film” la sceneggiatura deve a sua volta seguire questa regola (53). Va aggiunto, tuttavia, che la tecnica della scrittura al presente si ritrova proprio per influsso del cinema in scrittori quali, ad esempio, Andrea De Carlo (per cui cfr. su questo blog l’analisi di Lisa Scheiber e Claudia Zocchi).

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2.1.2. Plasticità della materia

Oltre al dover essere dunque scritta al presente una sceneggiatura deve descrivere solo quello che si può vedere. Cioè per rendere una sceneggiatura realizzabile deve essere possibile tradurre il testo in immagini concrete. Come conseguenza, tutto quello che non può essere reso visibile non è traducibile in immagini e quindi va escluso della sceneggiatura. A differenza di altri testi letterari come il romanzo la sceneggiatura non contiene elementi puramente diegetici perché non sono filmabili. Per lo stesso motivo non è nemmeno possibile descrivere i pensieri e sentimenti dei personaggi. Ciò non vuol dire che i personaggi non hanno una vita interiore, ma che ciò che pensano o provano deve essere espresso con altri mezzi (gestualità, mimica, ecc.). Deve essere scritto solo quello che è visibile allo spettatore. Quindi, la regola generale potrebbe essere riassunta con l’imperativo “Show, don’t say!”. Questo metodo di lavoro rende anche più attivo il pubblico. Non viene spiegato cosa succede ma gli spettatori vivono la storia nello stesso modo dei personaggi (54-58). Per esempio nella sceneggiatura di La vita è bella non viene spiegato che Guido è ebreo, ma il pubblico stesso arriva a questa conclusione quando il cavallo dello zio di Guido viene imbrattato con degli insulti antisemiti e lo zio predice che anche Guido soffrirà di ostilità simili.

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2.1.3. Visibilità: Mettere per iscritto la sceneggiatura

Altre norme importanti sono la visibilità, la vividezza e l’esattezza. Immaginandosi una storia lo sceneggiatore la trasforma in parole. Al contrario il regista visualizza la storia nella sua mente leggendo la sceneggiatura. Più preciso e dettagliato è stato il lavoro dello sceneggiatore, più grande sarà poi la concordanza con le immagini create nella mente del regista. La vividezza di un testo permette alle parole di trasformarsi in immagini e di creare un corpo vivente nella mente del lettore. Bisogna dunque rispettare alcune regole e scrivere usando un vocabolario specifico e usare verbi precisi per indicare le azioni. Quindi è necessario che lo scrittore rispetti l’esattezza nelle tre accezioni indicate da Italo Calvino: “1. un disegno dell’opera ben definito e ben calcolato 2. l’evocazione di immagini visuali nitide, incisive, memorabili 3. un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione” (58-59).
Anche in La vita è bella Benigni e Cerami considerano questa regola e descrivono le situazioni in modo chiaro e preciso. Per esempio, nella scena iniziale c’è Ferruccio che guida la macchina recitando dei versi. Però la sceneggiatura va oltre questa descrizione minimalista aggiungendo ulteriori dettagli sull’aspetto fisico del personaggio e il modo in cui si svolge la situazione. Per esempio non sta solamente recitando i versi ma lo fa „con tono compreso [e] bucolico“ (Benigni, Cerami 3).

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2.1.4. Regia invisibile

Scrivendo con grande esattezza, lo sceneggiatore è in grado di creare un alto tasso di visibilità avendo però l’handicap che non può utilizzare terminologia tecnica del cinema. Risolvendo questo problema con l’esattezza e attrezzi letterari, porta lo sceneggiatore vicino a uno scrittore comune e il suo lavoro alla letteratura tradizionale. Attraverso una descrizione precisa delle prospettive, lo scrittore di una sceneggiatura cerca di creare „effetti di visione“. Per lo sceneggiatore è quindi più importante il modo in cui scrive che le descrizioni stesse. Introduce nel testo una “regia invisibile” che da al lettore un idea chiara sull’immagine che lo scrittore vuole creare, senza però descriverlo in modo troppo tecnico e quindi si aiuta usando metodi tipici per questo genere letterario. Spezzando il testo in sequenze, da al lettore un senso di movimento e attenendosi all’esatezza dei termini crea delle immagini suggerendo il ritmo dell’azione. “Lo sceneggiatore, attraverso le parole è l’ideatore, il regista, il direttore della fotografia, lo scenografo (….) il proiezionista del >film sulla carta<“.

Guardando alla sceneggiatura di “La vita è bella” si nota subito che è scritto in modo dettagliato ma di niente tecnico. Leggendo il testo, subito si può immaginare quello che succede e se si dovesse disegnare una scena, seguendo le descrizioni della sceneggiatura probabilmente si riuscirebbe a farlo molto bene.

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3. Analisi e interpretazione delle scene scelte

Partendo dall’introduzione teorica il capitolo seguente si occupa delle differenze tra la sceneggiatura e il film La vita è bella di Roberto Benigni e Vincenzo Cerami. In confronto ad altri progetti cinematografici l’eccezionalità di questo film sta anche nel fatto che Benigni è allo stesso tempo sceneggiatore, regista e attore principale, ruoli che normalmente vengono ricoperti da più persone. Ciò significa che è stato il regista Benigni a decidere come interpretare la sceneggiatura e come doveva essere la versione finale del film. In altre parole la modifica delle scene del film rispetto alla sceneggiatura o addirittura la loro cancellazione sono scelte del regista. Proprio per queste particolari circostanze un paragone tra la sceneggiatura e il film è interessante e informativo e aiuta a capire meglio lo stretto e indissolubile legame che passa tra scelte tecnico-formali e il significato dell’opera.
In quanto segue presenteremo le analisi dettagliate di tre scene in cui la sceneggiatura non corrisponde al film. Ovviamente vi sarebbero molti altri casi analoghi che però non vengono considerati in questo lavoro.

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3.1. Riparazione turbolente: Una classica dimostrazione del gag

La prima scena che viene analizzata si svolge quasi all’inizio del film e fa vedere come Ferruccio e Guido cercano di riparare la macchina dopo che si erano rotti i freni:

La scena che nel film dura meno di 30 secondi, mentre la versione che troviamo nella sceneggiatura è più estesa:

SCENA 3

Strada di campagna. Casolare. Esterno giorno.

La Balilla, libera dalle fonde e dai «paramenti» colorati, è lì, morta, sotto il sole, in mezzo a una strada sterrata, polverosa. Guido e Ferruccio sono sdraiti sotto la macchina, cercano di riparare il guasto.

VOCE DI FERRUCCIO: Dove l’hai messa la vite? Stava qui.
VOCE DI GUIDO: Quale, questa?
VOCE DI FERRUCCIO: Che vite, questo è un chiodo, non lo vedi?
VOCE DI GUIDO: Chi ce l’ha messo il chiodo qua?
VOCE DI FERRUCCIO: Che ne so, stava sulla strada. Dammi la vite?
VOCE DI GUIDO: Ma quale vite, ce ne sono una decina qua in terra …
VOCE DI FERRUCCIO: Quella più piccola.
VOCE DI GUIDO: Quale, questa grande?
VOCE DI FERRUCCIO: Ma quella piccola t’ho detto. Scusa, perché non sposti il piede?
VOCE DI GUIDO: Quale?
VOCE DI FERRUCCIO: Eccola, l’ho vista.
VOCE DI GUIDO: Cosa?
VOCE DI FERRUCCIO: La vite piccola.
VOCE DI GUIDO: Dove?
VOCE DI FERRUCCIO: Sotto quella grande, e dammi il cacciavite.
VOCE DI GUIDO: Quale cacciavite?
VOCE DI FERRUCCIO: Quello piccolo.
VOCE DI GUIDO: Dov’è?
VOCE DI FERRUCCIO: Accanto a quello grande.
VOCE DI GUIDO: Eccola la vite piccola, l’ho trovata!
VOCE DI FERRUCCIO: Lascia perdere, guarda se c’è ancora quel chiodo.
VOCE DI GUIDO: No, m’hai detto che non ti serviva, l’ho buttato via!
VOCE DI FERRUCCIO: Senti, fammi un piacere, fatti una passeggiata. Dieci minuti, se no arriviamo a mezzanotte!
(Benigni, Cerami 6-7)

Leggendo questa scena ci si rende subito conto che dal film è stata esclusa una porzione di dialogo abbastanza lunga. In più l’interazione tra Ferruccio e Guido può essere  considerata comica e ha lo scopo di divertire. Partendo da queste due constatazioni risultano due domande che verranno discusse nel paragrafo seguente: 1. Perchè la situazione può essere considerata comica e che importanza hanno tali avvenimenti per lo sviluppo della trama? 2.  Come mai rispetto alla versione della sceneggiatura la scena è stata accorciata nella versione finale del film?

Questa scena è comica perché aiutando Ferruccio a riparare la macchina Guido sbaglia continuamente a passargli gli attrezzi giusti. Il fatto che fa ridere è la ripetizione dello stesso gesto, cioè la domanda di Ferruccio di dargli un attrezzo e la goffaggine di Guido nel passargli sempre quello sbagliato. Siamo insomma di fronte ad uno degli elementi tipici ddi un certo tipo di comicità, ossia il gag. Il significato originario dell’espressione to gag può essere fatta risalire addirittura lazzi dei comici dell’arte, la cui funzione era principalmente quella di un riempitivo, ad esempio per nascondere il fatto che si è dimenticato il proprio testo riempendo il vuoto con un’azione qualsiasi improvvisata (Celati 177). Partendo da questa definizione può essere considerato un gag tutto ciò che viene inserito nella narrazione per mero di-vertimento (cioè digressione, nel senso del latino devertere), situazioni o gag che però non devono per forza essere improvvisati (ibid. 160).
Chiarita la natura del gag, resta ora da chiedersi come mai la scena nel film sia stata così drasticamente abbreviata rispetto alla sceneggiatura. Una possibile risposta è in fondo implicta in un’altra caratteristica principale del gag, ossia nel fatto che il gag non contribuisce allo sviluppo della trama e quindi può essere omesso senza conseguenza per la storia. Cioè il gag „è una catena di atti di simulazione non finalizzati, quindi indifferenti e permutabili, di cui interessa soltanto l’uso contingente, il modo di distanziamento e lo scarto metalinguistico dell’interpolazione locale, non la coordinazione delle parti sotto il segno d’una logica superiore“ (164). La scena potrebbe essere stata quindi abbreviata semplicemente per risparmiare screen time, oppure, per ragioni di ritmo narrativo, visto che il gag in questione essendo di natura essenzialmente verbale più che visivo (tanto più che i due protagonisti sono nascosti sotto la macchina nella scena) funziona meglio letto che visto, nel senso che tradotta in immagine la scena risulta probabilmente troppo lunga in termini visuali.
Resta il fatto che malgrado la riduzione del testo la scena nel film rimane comunque comica e comprensibile, ma nella versione integrale la reazione infastidita di Ferruccio è comunque più plausibile per lo spettatore.

Nel film si trovano numerosi altri gag dello stesso tipo. Un esempio molto bello è il ripetuto tentativo di Guido di appropriarsi indebitamente del cappello del tappezziere:

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3.2. Il colore del vestito: La funzione simbolica dei colori

La seconda scena che viene analizzata si svolge a casa di Dora. Non vuole andare alla sua festa di fidanzamento e afferma di stare male ma sua madre insiste che lei ci vada:

Nella sceneggiatura la madre porta un abito“elegantissimo blu notte“ (Benigni, Cerami 77), mentre nella scena del film il suo vestito è di colore bianco. A prima vista questa differenza sembra essere un dettaglio banale e minimo, però visto che i colori possono svolgere un forte ruolo simbolico nei film vale la pena di esaminare il possibile significato di questo mutamento nella scelta del colore del vestito.

Una possibile spiegazione per questa differenza tra sceneggiatura e film potrebbe essere semplicemente che un vestito di colore blu notte non avrebbe armonizzato con gli altri vestiti degli invitati alla festa di fidanzamento e in genere con i colori che caratterizzano la scenografia di questa scena. Guardando le scene in cui si può vedere il vestito, tuttavia, ciò non sembra essere il caso, visto che non è identificabile uno schema specifico per quanto riguarda i colori dei costumi degli invitati, nella cui varietà cromatica un vestito blu notte non stonerebbe affatto.

Vuol dire che ci deve essere un altro motivo per il quale è stato deciso che la madre di Dora porti un abito bianco invece di uno blu, poiché la scelta del colore dell’abito non è casuale. Come sottolinea Susanne Marschall, infatti, «ein Kostüm […] bestimmt den Verlauf einer Sequenz maßgeblich, und es ist nicht gleichgültig, wer es trägt» (Marschall 232). Prima di interpretare la scelta del colore dell’abito nel caso della madre di Dora, sarà utile precisare le associazioni che vengono solitamente connesse al bianco.

Il bianco è dunque tradizionalmente associato alla purezza, alla verginità e al bene. Nel contesto del matrimonio il bianco rappresenta il colore caratteristico per l’abito nuziale segnalando in primo luogo la purezza della sposa (Heller 158-178).  Per quanto riguarda la festa di matrimonio questo colore è riservato esclusivamente alla sposa (ibid. 178).

Anche se nel caso discusso non si tratta di una festa di matrimonio ma di fidanzamento, il colore bianco svolge un ruolo importante, specialmente perché non viene indossato dalla futura sposa. Durante la festa Dora porta un abito rosa mentre sua madre ne porta uno di colore bianco. In relazione a un futuro matrimonio che viene celebrato con la festa di fidanzamento questo colore ha un significato particolare. Una possibile interpretazione sarebbe che è la madre che viene rappresentata come sposa invece di Dora. Nella scena menzionata la madre sottolinea quanto è importante che Dora vada alla festa di matrimonio. Il motivo principale della sua insistenza è che vuole evitare di perdere la faccia, dicendo che se Dora non viene „non avr[à] più il coraggio di uscire per strada“ (Benigni, Cerami 77). Inoltre minaccia pure di non rivolgere mai più, «per tutta la vita» (ibid. 77), la parola alla figlia. Cioè il matrimono della sua unica figlia è importante per lei per conservare la propria autostima oppure per migliorare la reputazione di sé stessa e della sua famiglia. Dora invece né vuole andare alla propria festa di fidanzamento né sembra  essere molto entusiasta del suo imminente matrimonio o del suo futuro marito. Infatti sembra che la madre dia molta più importanza a questo matrimonio rispetto a sua figlia, e vuole che essa si sposi nell’interesse suo. Cioè il fatto che la madre porta il vestito bianco invece della futura sposa mostra l’importanza che l’imminente matrimonio ha per lei e che ci tiene più di sua figlia. Per questo motivo è lei a prendere il posto di sposa in cui in verità è sua figlia anche per quanto riguarda la scelta del colore del vestito.

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3.3. Un indovinello: Il personaggio del dottor Lessing

La terza differenza che viene analizzata è la diversa immagine del personaggio del dottor Lessing che viene fuori fari dal confronto tra il film e la sceneggiatura. Nella prima parte del film il dottor Lessing è raffigurato nella sua veste civile di medico tedesco appassionato di indovinelli che instaura un rapporto di vicendevole simpatia con il cameriere Guido. Nulla porta ad associare il dottore all’uniforme e quindi all’orrore delle SS, tanto più che Guido si rivolge al suo interlocutore chiamandolo sempre „dottore“ oppure „dottor Lessing“. Vediamo qui una delle prime scene tra il dottor Lessing e Guido che ha appena risolto un indovinello precedentemente sottopostogli dal dottore:

Leggendo poi la sceneggiatura invece si capisce subito che il dottor Lessing è un ufficiale dell’esercito, il che lo rende automaticamente meno simpatico poiché la sua figura viene involontariamente associata dal lettore all’esercito tedesco e quindi alla propaganda dell’ideologia nazista. Riportiamo qui il brano della sceneggiatura corrispondente all’inizio della scena che abbiamo appena visto:

 

[ … ] Guido, vassoio in mano, si ferma a un passo dal tedesco. Lo fissa e sorride. Il capitano coglie il senso di quel sorriso.

CAPITANO: Non ci credo!
GUIDO (scandisce): „L’oscurità“
CAPITANO: Sei un genio, Guido!
GUIDO: „Più è grande meno si vede!“ Soluzione: „L’oscurità!“ Bellissimo! Questo indovinello l’ha inventato lei capitano?
CAPITANO. No, ma tu l’hai risolto in cinque minuti e io in otto giorni! „L’oscurità!
(Benigni, Cerami 41)

„L’ha inventato lei capitano?“ Nella sceneggiatura Guido lo chiama capitano il signore tedesco, invece nel film lo chiama dottore e questa piccola differenza cambia il modo di interpretare questo personaggio ma anche alcune scene di questa storia. Inizialmente lo vediamo come un’uomo coltivato e di grande intelletto con un brama di risolvere indovinelli. Andando avanti troviamo altre scene in cui si capisce dalla sceneggiatura che il dottore non è soltanto un pediatra o un medico comunale ma un dottore per il terzo Reich. Nella scena dove il dottor Lessing deve partire per Berlino e saluta Guido si riceve l’impressione che loro due non erano solamente cameriere e ospite ma che si era creato una specie di amicizia tra di loro. Dottor Lessing ma anche Guido sembrano colpiti dal fatto che il signore tedesco se ne doveva andare.

 

Nuovamente Guido non chiama capitano l’ospite ma usa il suo titolo accademico dicendo “Grazie dottore”.  Allora si pone la domanda perché Benigni ha deciso di nascondere la vera identità del dottore.

 

[ … ] Da dietro i fiori riemerge Guido che abbassa il vaso e vede Dora allontanarsi e immergersi nella folla degli invitati. Guido si sente chiamare.

VOCE DEL CAPITANO: Guido!

Guido si gira e vede il capitano tedesco, con un grosso libro sotto il braccio. Un facchino porta fuori dall’albergo le valigie. Guido gli va incontro, sempre con i fiori in mano.

GUIDO: Oh, capitano Lessing, dove va?
CAPITANO: Telegramma urgente … partire immediatamente per Berlino. E questi fiori?
GUIDO: Sono per lei, per la sua partenza!

E gli porge il vaso di fiori.

CAPITANO (ride): Uno lo prendo.

Stacca un solo fiore dal vaso.

CAPITANO: Lo porto a mia moglie, fiore di Guido. Sono stato molto bene con te, sei il cameriere più fantasioso che abbia mai conosciuto.
GUIDO: Grazie capitano … e lei è il cliente più colto che abbia mai servito.
CAPITANO: Ah quando apri la libreria fammelo sapere che vengo da Berlino. Non ti dimenticare di me.
GUIDO: No! Se viene facciamo una festa, andiamo a cena insieme, offro io.
CAPITANO: Grazie.

Si stringono la mano e il capitano si gira per andarsene, ma subito si ferma e si volta.

CAPITANO: A proposito: “ Se fai il mio nome non ci sono più; chi sono?” Se indovini offro io. Ciao Guido …“Se fai il mio nome non ci sono più.

Ed esce dall’albergo. Guido rimane fermo e pensoso, con il vaso di fiori in mano. S’anziano e nobile portiere in livrea ha sentito tutto.

(Benigni, Cerami 84-85)

Guardando il film per la prima volta si tende a sviluppare una certa simpatia per il signore tedesco, che vedendolo poi come dottore della SS ci lascia credere in un buon fine per l’attore principale e suo figlio. Si sviluppa un sentimento di sollievo, però l’ossessione per gli indovinelli ormai ha fatto impazzire il dottore e il suo sorriso che aveva nella prima parte del film si è trasformato in un ghigno disperato e culmina quando non pensa di aiutare Guido e la sua famiglia, ma gli chiede aiuto perché non è in grado di risolvere un indovinello. Coltivando un intelletto enorme, è scomparsa la sua bussola morale. Quel momento in cui Guido realizza che non si può aspettare nessun’aiuto di questo uomo è una delle scene più tristi del film ma allo stesso tempo anche rivelante. Ci trasmette un sentimento di disperazione e Guido capisce che non può più scappare. Non c’è più speranza.

Si è creata la domanda se si guardasse il film con un altro atteggiamento sapendo già dall’inizio che il dottor Lessing fa parte della SS. Secondo noi cambierebbe molto e rivedendolo nel campo di concentramento non si creerebbe un sentimento cosi forte di speranza per un buon fine del film. Dall’inizio il signore tedesco è molto simpatico con Guido, facendo parte dell’esercito tedesco e sapendo che egli è ebreo. Viene chiamato capitano che ci fa capire che volontariamente è un dottore dell’esercito e che non è stato chiamato per fare servizio dopo l’inizio della guerra. In più si chiede perché Benigni non rispettò la sceneggiatura e ha lasciato via un dettaglio cosi importante per la comprensione della storia. Puo darsi che non voleva evocare dei pensieri negativi sulla figura del capitano tedesco per creare più tensione verso la fine del film. Per concludere si può dire che per lo svillupo della trama e l’atteggiamento che si crea durante il film cambia molto questo dettaglio omesso dallo sceneggiatore.

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4. Conclusione

Con La vita è bella Benigni riuscì a introdurre una nuova perspettiva sulle miserie dell’olocausto e l’orrore causato dal regime fascista. Combinando elementi comici con elementi tragici si mosse però sul filo del rasoio.

Fu lui a scrivere la sceneggiatura e per questo ebbe la possibilità di realizzare questo progetto filmico secondo le sue idee. Siccome si trovano comunque delle discrepanze tra la sceneggiatura e il film questo articolo ha cercato di mostrare, esaminare e interprpetare esse. Attraverso l’analisi delle scene scelte si dimostrò che anche piccole differenze possono avere un significato considerevole e vale la pena di tematizzarle ed interpretarle. Tranne la scena del gag che per la maggior parte rappresenta solamente un elemento comico, non necessario per il trama del film si scoprì che le altre due sequenze hanno un’influenza notevole su come si percepisce i personaggi e come si sviluppa l’opinione personale degli spettatori. Nella scena della festa di fidanzamento solo il cambio del colore del vestito della madre di Dora ha fatto sì che il personaggio è messo in un’altra luce essendo rappresentato come la sposa al posto di sua figlia e quindi viene mostrato l’importanza del matrimonio per la madre.  Guardandosi anche la scena del dottore fa capire che lo scambio di un titolo di studio con un grado militare può cambiare la percezione e l’opinione che si ha sul personaggio.

Partendo allora dell’affermazione che la sceneggiatura, come testo letterario, viene continuamente sottoposto a cambiamenti da parte del regista e degli attori durante la realizzazione del film è stato mostrato che questi cambiamenti non vanno fatti casualmente. Invece a base di questi cambiamenti c’è sempre l’intenzione di cambiare sia lo sviluppo del film che la percezione dello spettatore. Concludendo si può quindi affermare che l’importanza di tali cambiamenti piccoli non va sottovalutata perché possono significare più che si pensasse.

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5. Bibliografia

Aimeri, Luca (1998): Manuale di sceneggiatura cinematografica. Torino: Utet.

Benigni, Roberto; Cerami, Vincenzo (1998): La vita è bella. Torino: Einaudi.

Celati, Gianni (1986): Su Beckett, l’interpolazione e il gag. In: Finzioni occidentali: Fabulazione, comicità e scrittura. Torino: Einaudi. pp. 155-184.

Heller, Eva (2000): Wie Farben auf Gefühle und Verstand wirken. München: Droener Verlag.

Marschall, Susanne (2005): Farbe im Kino. Marburg: Schüren Verlag.

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